14 febbraio.
Tanti auguri di buon Onomastico, Valentino.
Anche se non lo meriti ti faccio gli auguri lo
stresso. Perché sono un angelo, quindi un sottoposto. No ho altra scelta.
Sappi che quest’anno il più acclamato è stato San
Giuda Taddeo, perché di disperati si sono riempite tutte le case. E San Lazaro,
patrono dei poveri e i malati, che non ce la fa più a rispondere all’angoscia
che aumenta giorno dopo giorno.
Lo sai che persino Sant’Elena ha più ammiratori di
te? Oh, Valentino, come cambiano i tempi, vanno talmente veloci che fra poco ci
toccherà guardargli la schiena quando ci sorpasseranno senza avvisare.
A proposito, Elena mi ha detto che si ritira, che
non vuole più ascoltare i divorziati. Dice che una buona fetta non ne vuole
sapere di farsi due pensieri un po’ seri e che dopo sole tre settimane pensano
già a San Valentino. Dice che preferisce rimanere con i muratori, gli
archeologi, con gli aghi e i chiodi. Magari è solo gelosa di te. Chissà.
Sappi che da tutta la “vita” della nostra morte,
da quando stiamo Quisopra, andiamo di male in peggio. Valentino, io vedo che ti
isoli con la bottiglia in un angolo del divano durante le riunioni della
domenica. E mentre bevi, con gli occhi umidi, ti sale la disperazione fino alla
punta dei capelli. Tu pensi che io non ti guardi, mentre ti asciughi le lacrime
con la punta del mantello. E che mi sfugga quando sussurri parole indicibili
durante le lezioni di Benevolenza. Non so se gli altri se ne accorgano. Ma io
sì, sono capace di leggere nel tuo sguardo e nella tua mente.
La gente viva pensa che Quisopra dormiamo addosso
alle nuvole. Che cantiamo abbracciati e osserviamo, magnanimi e protettivi,
quello che succede dalla nostra altezza. Non sanno che Qui impariamo a
servirli. Che giorno dopo giorno, durante le nostre ore senza tempo, ci siamo
dovuti adattare alle loro anime spinose, studiando le ragioni per esistere in
un mondo dove il nostro spazio lo dobbiamo condividere con la superstizione e
la compravendita di desideri.
Non sanno che il nostro Cielo non e più un Cielo,
ma una distesa immensa di cuori disperati, pieni di bontà innata o guadagnata
con la morte, che lavorano senza sosta e senza compenso per le ombre esanimi di
quelli che si credono in vita.
Valentino, io ti propongo una cosa.
Chiudere la baracca e andarcene tutti. Lasciando i
nostri mantelli e le nostre ali, gli scettri, le croci e le funi. Le ruote, le
ferite, gli animali, le spade, i fuochi, il sangue e le raffigurazioni
truculente. Che Quisopra diventi un deserto di sabbia coperto di armi e
lacrime, di torture e catene. Ma abbandonate.
Andiamocene dove non si possano sentire le parole,
i “ti chiedo” e gli “io voglio”. Che si riposino le nostre orecchie e le mani
da tanta preghiera.
Ti ho visto custodire come tesori milioni di
amori. Proteggerli dalle tormente e vigilare nel cammino. Hai coltivato e
difeso, protetto e accudito, fino al limite delle tue forze.
Finché il mondo stesso ti ha rifiutato, come obsoleto.
Così antico e sfasato, Valentino, come l’amore vero.
Non vanno più di moda le tue cose, amico mio.
L’amore ora arriva con la data di scadenza. È per questo che sei disperato, ti
conosco. E vedo che guardi con gli occhi fissi senza capire le coppie che si
osservano annoiate, la fretta per spogliarsi l’anima, il combattimento mortale
prima di sbattere la porta e scappare giù dalle scale.
Capisco che una bottiglia anneghi l’amarezza. Non
sei l’unico, Quisopra. La vita-non vita di noi intermediari è un inutile bazar
dove cercare solo cianfrusaglie.
Io, che sorvolo cieli e porto messaggi mi sono
reso conto di tutto, per quello ti dico Valentino, che dobbiamo andarcene
tutti. Tanto nessuno se ne accorgerà. Le voci arrivano in un senso solo.
Salgono fino in alto come milioni di palloncini che attraversano le nuvole
senza aspettare in un ritorno. Parlano, parlano e non ci ascoltano.
Allora andiamocene. Ora lo dico agli altri.
Andiamo tutti al mare. A prendere il sole anche se non ci abbronziamo e a disintossicarci
di tutte queste stupidaggini.
Magari un giorno arriverà il Buon senso e inonderà
come il Diluvio il mondo intero. Che si porti via l’ignoranza e le meschinità.
Che anneghino tutti. Che non si salvi nessuno.
E così, mentre noi berremo beati la nostra piña
colada in riva al mare e sotto il sole, raggiungeranno la spiaggia galleggiando
come relitti soltanto quelli che avranno capito tutto, quelli che non avranno
suonato alla porta cercando il baratto e gli spiccioli.
Eccoci, caro santo. Sono tutte chimere e vagheggiamenti,
lo so, ma non a caso sono un angelo, e le mie pretese sono volatili e
ambiziose.
Ti auguro che il giorno senza ore della tua festa
ti renda nuovamente lo spirito leggero che eri una volta. Che l’amore che
cullavi tra le tue braccia, che non è tuo né di nessun’altro, ma tutto può
fare, si rovesci giù dalle stelle.
Tanti auguri ancora.
Sempre tuo,
Angelo.
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